L’eccesso di pubblicità che governa internet oggi è niente rispetto a come era agli esordi: pop-up invasivi, banner luccicanti, ad-aware inseriti a ogni visita. Un’anarchia totale che costringeva il visitatore a salti mortali per non farsi infettare, ma soprattutto per riuscire a leggere il contenuto. Fu insomma questa enorme mole di annunci pubblicitari che spinse alcuni programmatori a inventare dei programmi in grado di bloccare sul nascere la pubblicità. Nascono così gli ad-blocker, programmi che oggi stanno mettendo in difficoltà le grandi concessionarie pubblicitarie come Google e Facebook, perché bloccano i messaggi promozionali e rendono molto meno redditizio il ricorso alla pubblicità online.
Tecnologicamente gli ad-blocker sono dei programmi senzienti in grado di riconoscere la pubblicità, ad esempio un banner, da una normale immagine. Lo fanno usando principalmente dei principi di funzionamento euristici, con un approccio classico che consente al programma – normalmente un’estensione dei browser più usati (Chrome e Mozilla Firefox su tutti) di spegnere gli annunci, impedendone il caricamento e velocizzando la navigazione.
Innanzitutto nel loro database c’è una black list che contiene tutte le tipologie di script pubblicitari riconosciuti come invasivi. Quando la pagina che li contiene viene caricata, l’ad-blocker blocca l’esecuzione dello script. Inoltre grazie a un sofisticato algoritmo il programma è in grado di stabilire quali annunci pubblicitari siano dannosi o ritardino troppo l’apertura o comunque complichino la lettura di una pagina, e quali invece dovrebbero essere inseriti in una sorta di lista bianca, dove c’è un limite di tolleranza più elevato rispetto alla blacklist.
I principali ad-blocker come AdBlock e ABP lavorano usando una tecnologia mista: bloccano la comunicazione con i server che fanno riferimenti agli annunci pubblicitari per farli mostrare (ad esempio gli annunci di Google AdSense). Utilizzano dei sistemi di riconoscimento del codice, che spesso mostra delle caratteristiche tenute nascoste, ma che possono essere scovate, come delle classi di CSS o del markup html. Questo riconoscimento avviene principalmente su stringe di testo, che per esempio contengono le parole “ad” o “advertising”.
Per reagire alla diffusione di ad-blocker gli inserzionisti hanno finanziato e stanno finanziando diversi sistemi, come ad esempio bloccare il contenuto per chi utilizza questi sistemi di blocco per la pubblicità. In questo modo “costringono” l’utente a disattivare il blocker per quello specifico sito, ma non per altri. Il sito accettato finisce per uscire dalla blacklist.
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