Perché l’Italia ha detto no al nucleare

La storia del nucleare in Italia è molto travagliata ed è segnata principalmente da due date: l’incidente di Chernobyl – avvenuto il 26 aprile 1986 – e quello di Fukushima, in Giappone, avvenuto l’11 marzo 2011. Questi due eventi sono considerati spartiacque dal fronte ambientalista, che ha imposto e vinto a larga maggioranza due referendum che hanno segnato lo sviluppo energetico del nostro paese.

L’Italia non è un paese ricco di materie prime come il carbone e il petrolio e deve quindi alimentari le centrali elettriche, acquistando energia dall’estero. L’energia nucleare – come altri combustibili – serve a mettere in moto le turbine per produrre energia. Senza questa non avremmo il funzionamento delle fabbriche e delle case. Attualmente il nostro paese è un importatore di energia elettrica, nonostante in Europa sia davanti a tutti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Questi dati però non devono impressionare. Secondo i dati forniti da Terna, che gestisce la rete elettrica nazionale, l’Italia è in grado di produrre da sé ben l’85% dell’energia necessaria al suo funzionamento. Per completare l’offerta, acquistiamo energia da Svizzera, che rappresenta la metà delle commesse, Francia, Austria e Slovenia. i nostri vicini insomma. Il grosso problema è che la maggior parte della nostra energia, dev’essere prodotta con materie prime che non possediamo. Per questo importiamo moltissimo gas naturale e praticamente tutto il petrolio. Importiamo il 90% di petrolio e il 94% di gas naturale. Questo costo di produzione va a generare la cosiddetta bolletta energetica nazionale.

Fatta questa premessa torniamo al perché l’Italia ha detto no al nucleare. L’energia nucleare in Italia ha una storia estremamente nobile e per certi versi gloriosa: come saprete l’inventore del primo reattore nucleare, che consentiva la produzione di energia controllata e stabile, fu Enrico Fermi, che insieme al suo gruppo di lavoro di Via Panisperna, a Roma, negli anni Trenta, diede fondamentali contributi alla comprensione del funzionamento della materia, nelle sue componenti più piccole.

La politica energetica italiana per il secondo dopoguerra è stata guidata da Enrico Mattei, un partigiano cattolico di grande prestigio, che rese l’Italia più indipendente dal punto di vista energetico, alla guida dell’ENI. Già negli anni sessanta, quando Mattei era uscito tragicamente di scena, il nostro paese era sul terzo produttore al mondo di energia dal nucleare. Le scelte politiche si orientarono verso un piano emergenti nazionale, che armonizzava la produzione delle tre centrali esistenti, con il comparto di produzione termoelettrica. Fu progettata una quarta centrale più moderna a Montalto di Castro.

Problemi di sicurezza

Nonostante le ultime centrali fossero di concezione e progettazione molto più moderna, non mancavano le preoccupazioni per l’olocausto nucleare, in un periodo di guerra fredda. Si temeva il nucleare di pace e di guerra. Dopo l’incidente di Three Miles Island, negli USA, nel 1979, furono decisi dei lavori di ammodernamento e l’impianto di Sessa Aurunca fu addirittura spento per un guasto nel 1982. La preoccupazione era globale. L’incidente di Chernobyl portò le forze ambientaliste a proporre tre referendum nazionali sul settore, con i quali si bloccava l’istituzione di nuove centrali, si imponeva l’abbandono chiudendo le centrali funzionanti di Latina, Caorso e Trino.

Durante gli anni del governo di centrodestra, guidato da Berlusconi, l’Italia provò un rilancio del nucleare, motivato dal fatto che la prima chiusura era stata indotta da una reazione emotiva, che contrastava gli interessi nazionali di fabbisogno energetico. Tuttavia, dopo aver preso i primi accordi con la Francia, per la realizzazione di nuove centrali, un maremoto sconvolse il Giappone, provocando l’incidente della centrale di Fukushima. Un secondo, decisivo, referendum pose fine al programma nucleare italiano. Attualmente non si prevede un ritorno a queste politiche, dato che il nostro paese, come altri, sta decisamente puntando sulle rinnovabili per diminuire il costo delle importazioni delle materie prime necessaire a produrre energia elettrica.

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