L’energia nucleare in Italia

In seguito al rincaro del petrolio, l’energia nucleare doveva rappresentare l’alternativa più valida e concreta, diventando la prima fonte per la produzione di energia elettrica rispetto ai combustibili fossili. I fatti però oramai stanno smentendo questa previsione unanime.

Il nucleare in Italia

In Italia il nucleare ha una storia alle spalle che parte dalla grande scuola di fisica teorica che si è sviluppata con successo negli anni ’30, che ha portato a un altrettanto sviluppo della fisica atomica pratica. Le prime centrali degli anni Sessanta sono state create a partire dai progetti più moderni approvati negli Stati Uniti e hanno conosciuto diversi cicli di trasformazione dell’uranio. Come è noto due grossi incidenti nel 1986 e nel 2011 hanno segnato il definitivo addio all’energia nucleare. In mezzo oltre 25 anni di dibattiti, ripensamenti, scontri e la sensazione che il paese, oltre ad aver perso delle opportunità, non abbia comunque saputo creare delle valide alternative.

L’incidente di Chernobyl e il primo addio al nucleare

Alla base della rinuncia al nucleare c’è il grave incidente occorso a Chernobyl, una località divenuta tristemente famosa, per l’esplosione del reattore nucleare che generò la dispersione di una nuvola radioattiva, che dopo alcune settimane raggiunse anche l’Italia e i paesi dell’Europa Occidentale. La sensibilità ambientalista raggiunse il suo apice con la formazione del movimento dei Verdi che promosse un referendum abrogativo per abbandonare il nucleare. La richiesta era evidentemente frutto dell’emozione, ma aveva un fondamento perché sulla sicurezza del nucleare si era discusso parecchio anche in seguito all’incidente nella centrale americana di Three Mile Island. Quello che è successo poi è che abbiamo perso del know-how, si è persa per strada un’intera generazione di fisici e ingegneri che potevano sperare non solo nello sviluppo del nucleare, ma anche nel suo ammodernamento. In nessun caso, infatti, le centrali nucleari italiane e quelle di nuova generazione in uso all’allora blocco occidentale, conoscevano l’insicurezza e i difetti di progettazione della centrale di Chernobyl.

La riapertura e il nuovo addio dopo Fukushima

Il ritorno al nucleare fu giudicato già possibile nel 2001 ed era stato inserito nel programma della coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi, considerata favorita per la vittoria finale. Come infatti avvenne, il governo Berlusconi iniziò a stabilire delle tappe per il ritorno al nucleare e la decisione ricavò ampio sostegno dall’industria e dalle aziende del settore, raccoltesi sotto la sigla del forum per il nucleare, al fine di discutere la bontà di questa scelta strategica. Grazie agli accordi di buon vicinato con l’allora presidente francese Sarkozy, il Governo nel 2009 stabilì i primi passi (nel frattempo erano cambiati ben 3 governi). Questa decisione però tramontò definitivamente nella tarda primavera del 2011, quando un secondo referendum bocciò per l’ultima volta la costruzione di nuove centrali nucleari. Il problema era derivato dal grave incidente della centrale atomica di Fukushima (Giappone) in seguito all’imponente terremoto, con conseguente tsunami che aveva sconvolto le prefetture settentrionali del paese asiatico.

Il problema delle scorie

Attualmente il nostro paese è comunque attivo nel settore dello smaltimento delle scorie nucleari, sia di quelle relative ai cicli di produzione delle centrali atomiche dismesse (Caorso, Trino, Latina, Garigliano), sia dei residui della medicina nucleare attraverso la società di gestione SOGIN. I lavori di decommissioning riguardano tutte le province interessate e mettono all’attenzione del grande pubblico l’annoso problema delle scorie. Infatti, più volte, il governo e il legislatore hanno avuto grosse difficoltà a identificare una zona adatta per lo smaltimento vista la natura sismica del nostro paese.

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